La guerra ha tante facce: politiche, economiche, belliche…E all’interno di ogni ambito, si manifesta in tante possibilità che, una volta conosciute, generano una competenza professionale e un’accademia di strateghi, alle quali seguono progetti complessi.
In ciò Roma fu eclatante e da Veio in poi -dove i Romani per primi portarono la guerra all’inverno- la storia racconta un susseguirsi di eventi in cui la battaglia campale risulta l’aspetto bellico più plateale, ma la guerra si vince cambiando il corso dei fiumi, fondando città strategiche, attendendo l’evento climatico favorevole, tagliando le vie di comunicazione, l’accesso ai rifornimenti, sbilanciando l’opinione politica di un alleato, eccetera.
Al generale romano pertanto è chiesta una polivalenza straordinaria che, per essere attuata, necessita di strumenti altrettanto versatili e multiformi.
Ad ogni popolo il suo esercito
Mentre truppe dalla forte connotazione etnica come i Celti, i Greci, gli Iberici o i Germani vanno caratterizzandosi per un tipo di armamento e di tecnica uniformata, palese espressione degli usi, dei costumi e dei territori in cui vivono, i Romani perfezionano un impianto bellico eterogeneo ma regolare nei suoi principi funzionali, tale da sfruttare al meglio le stesse milizie etniche alleate attorno al suo cuore pulsante: la fanteria scutaria.
Così le torme Galliche rimarranno secolarmente fedeli alla lunga spatha e allo scudo oblungo piatto, espressione di un combattimento di tipo individuale come individualistiche erano le tribù celtiche, adattando le tecniche di combattimento a un’ampiezza tipica di un duello in selva, il loro habitat secolare.
Così le compagini Greche resteranno fedeli al tondo scudo argivo, al toromachos, a due alti parastinchi, all’elmo corinzio e alla lunga sarissa (lancia), compattando migliaia di uomini in quella falange che non aveva l’obiettivo di sterminare, ma piuttosto di respingere la compagine avversaria mediante una collisione devastante. È l’espressione secolare di una polis contro l’altra, è la rivelazione delle pianure elleniche e di una corsa sfrenata mirata a dare energia cinetica al martello chiamato Phalanx.
Facendo tesoro delle stesse tecnologie avversarie, a partire dai Sanniti dai quali carpirono lo scutum oblungo e concavo, i romani compresero che grazie a questi armamenti di base era possibile una formazione serrata sorprendente. Sperimentarono che dieci metri lineari di fronte potevano contenere dodici legionari mentre nei dieci metri contrapposti, a causa del loro armamento, si posizionavano solo sei-otto Germani.
Un’evidente superiorità di lame che con una Centuria giunse al suo tripudio: ognuna di queste contemplava otto, dieci ordis (file) da dieci uomini ciascuna, e grazie alla disciplina e ai peculiari equipaggiamenti, il Centurione ordinava la sostituzione della prima fila ogni 30-40 secondi, garantendo sempre forze fresche a tutto il fronte ed un riposo individuale di circa tre-quattro minuti.
Al contrario gli avversari, più ingombranti, continuavano il combattimento sino allo sfinimento, oppure erano costretti ad arretrare per lasciare ai compagni lo spazio per sostituirsi; spazio e tempo che permetteva ai legionari di incalzare.
Se a ciò si aggiunge il Pilum, uno speciale corto giavellotto (derivato dai Sanniti) composto da una testa metallica snodata su un’asta di legno che, “impilato” nello scudo nemico lo neutralizzava definitivamente, allora si comincia ad intravedere la strategia di base dell’impianto bellico romano: l’esercito o quanto meno la sua prima linea di Hastati, per un totale di 20 Centurie e circa 250 metri di fronte per ogni singola Legione, rappresentava il primo reparto di guastatori della storia. Era definito murus e come le mura di un castello aveva lo scopo di usurare preventivamente le energie e le risorse strumentali (armi e armature) dell’avversario che, cotto a puntino, si vedeva uscire da dietro il murus, altre venti centurie di Principi, una categoria che per armamenti e addestramento, aveva pura vocazione di corpo a corpo: obiettivo di questi era lo sterminio del nemico, e la loro arma principale era uno scutum ovoidale, utilizzato come una ghigliottina.
La “trappola” dei Romani: un castrum con...le gambe
Ma la versatilità dell’esercito romano andava ben oltre. Se anziché gli “ampi” celti e germani, avesse incontrato contingenti serrati come le compatte falangi greche o macedoni, la fanteria romana non avrebbe potuto opporre il murus e la sua superiorità numerica.
Ecco allora che il fronte romano, suddiviso in dieci manipoli, laddove la pressione avversaria era più insistente, apriva uno o più manipoli facendo arretrare e ruotare una centuria attorno all’altra. Il manipolo rappresentava dunque l’incarnazione di un portone che si apriva dentro il Castrum, facendo credere al nemico di aver sfondato: penetrate a sufficienza, le torme avversarie vedevano richiudersi il manipolo dietro di loro, trovandosi nel giro di un minuto, con l’8-10% delle proprie forze globali circondati dagli Hastati e da 20 centurie di Principi, gli sterminatori.
Come i vicoli ciechi di un castello greco, l’esercito romano incarnò il principio castrense nella sua fanteria scutaria.
Un impianto non veloce come i greci, non effervescente come i Celti, ma pragmatico, chirurgico, letale.
Articolo di: Dario Battaglia
Tag: centuria, esercito, esercito romano, hastati, manipolo, roma
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